Testa umana bollita e cucita dentro un pupazzo di Hello Kitty: la polizia indaga dopo la denuncia di una 13enne e fa una scoperta choc. Il giudice: “Mai vista una tale depravazione, brutalità, ferocia”
Un teschio umano cucito all’interno di un pupazzo di una sirena di Hello Kitty . È il dettaglio macabro e agghiacciante che ha dato il nome a uno dei casi di cronaca nera più scioccanti della storia di Hong Kong. La vittima, Fan Man-yee, una hostess di nightclub di 23 anni, fu rapita, torturata per un mese e infine uccisa da tre uomini in un appartamento imbottito di gadget della gattina giapponese. A distanza di anni, la storia, riportata dettagliatamente da testate internazionali tra cui il South China Morning Post e il Washington Post, è tornata alla ribalta grazie ad un articolo di People entrato nei trending topic di Google.
L’orrore iniziò a emergere nel maggio del 1999, quando una ragazzina di 13 anni, identificata in seguito solo come “Ah Fong”, si presentò terrorizzata a una stazione di polizia di Hong Kong. Agli agenti non denunciò un crimine, ma un fantasma . Proprio così. Raccontò di essere perseguitata dallo spirito di una donna morta in un appartamento al terzo piano di Granville Road. Gli agenti, seguendo l’indicazione della ragazzina, decisero di investigare. Quello che trovarono in quell’appartamento, come ricostruito anni dopo durante i processi, superava ogni immaginazione: un luogo decorato ossessivamente con gadget di Hello Kitty, e i resti smembrati di una persona.
Il dettaglio più macabro, quello che diede il nome al caso, fu il ritrovamento del teschio della vittima : era stato bollito e poi meticolosamente cucito all’interno di un pupazzo di peluche, una sirena di Hello Kitty. La vittima fu identificata come Fan Man-yee, una hostess di nightclub di 23 anni. E così fu chiaro: la “storia del fantasma” raccontata da Ah Fong non era un delirio, era l’eco delle urla della giovane che per settimane ha subito orrori e torture indicibili. L’indagine svelò che l’incubo di Fan era iniziato mesi prima per un debito di circa 20.000 dollari di Hong Kong (all’epoca 2.500 dollari americani) che doveva a Chan Man-lok, un gangster locale membro di una triade. Chan, insieme ai suoi complici, Leung Shing-cho e Leung Wai-lun, la rapì e la portò nell’appartamento tappezzato di Hello Kitty.
Lì, per diverse settimane, iniziò la tortura: come emerso al processo, i tre uomini passarono gran parte di quel mese sotto l’effetto costante di metanfetamine. La testimone Ah Fong, all’epoca fuggita di casa e finita nel giro di Chan, raccontò alla polizia di aver assistito (e a volte, sotto minaccia, partecipato) alle sevizie. Fan veniva picchiata “quasi ogni giorno”, affamata, legata, colpita con tubi dell’acqua e bruciata con oggetti roventi. Le sue condizioni peggiorarono inesorabilmente fino a quando, a causa delle ferite, morì. I suoi aguzzini decisero quindi di smembrare il corpo , nascondendo la testa nel peluche e gettando il resto tra i rifiuti domestici. Molte parti non furono mai ritrovate.
Il caso sconvolse Hong Kong, una città nota per il suo bassissimo tasso di omicidi. Il giudice Peter Nguyen, che presiedette il processo, usò parole durissime: “Mai negli ultimi anni a Hong Kong un tribunale ha sentito parlare di tale crudeltà, depravazione, insensibilità, brutalità, violenza e ferocia . Il pubblico ha il diritto di essere protetto da persone come voi”. Tuttavia, nonostante gli orrori accertati, dopo un processo di sei settimane, la giuria condannò i tre uomini “solo” per omicidio colposo (manslaughter) e non per omicidio volontario (murder). Il motivo fu tecnico: a causa dello stato di decomposizione e smembramento dei resti, fu impossibile per i medici determinare l’esatta, singola causa della morte . Chan, Leung e Leung furono condannati all’ergastolo. La tredicenne “Ah Fong”, la cui denuncia aveva dato il via a tutto, ottenne l’immunità a vita per la sua testimonianza.
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