Andrea Russo
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Andrea Russo
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# **SIRIA. Aleppo, i miliziani legati alla Turchia sparano sui quartieri curdi**

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Le sparatorie avvengono mentre cresce la tensione per il mancato raggiungimento dell'intesa tra curdi e Damasco
L'articolo SIRIA. Aleppo, i […]
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December 24, 2025 at 10:32 AM
# **PODCAST. Betlemme, il Natale dietro i muri: attese e occupazione militare**

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Nel servizio della giornalista Micol Hassan raccontiamo il Natale a Betlemme in una presunta normalità fortemente segnata dal dolore dei palestinesi per le vittime e le distruzioni di Gaza
L'articolo PODCAST […]
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December 24, 2025 at 10:07 AM
# **Dopo il riarmo l’Unione Europea vuole una “Schengen militare”**

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La "Schengen militare" approvata dall'Eurocamera prevede la rimozione degli impedimenti fisici e burocratici alla libera circolazione delle truppe e dei mezzi militari sulle ferrovie e le strade di tutta Europa […]
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December 24, 2025 at 8:18 AM
# **BULGARIA. Burgas sotto assedio (parte seconda). Lukoil, sanzioni e sovranità limitata**

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Le sanzioni statunitensi contro Lukoil colpiscono il cuore energetico della Bulgaria. La raffineria di Burgas, che garantisce l’80% del carburante nazionale, diventa una leva geopolitica. Tra […]
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December 24, 2025 at 6:31 AM
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⚠️Attacco all'Europa: gli USA mettono al bando "5 europei" che avrebbero fatto pressione sulle aziende tecnologiche affinché censurassero il free speech del regime Trumpiano

"Il Dipartimento di Stato sta adottando misure decisive contro cinque individui che […]

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December 23, 2025 at 10:50 PM
# **PODCAST. Le liste nere di Trump: Washington cancella il diritto di viaggiare anche degli italiani**

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Esiste un sistema che, ben oltre i confini degli Stati Uniti, limita il transito, l’ingresso e la libertà di movimento di persone ritenute indesiderate perché sostengono Paesi […]
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December 23, 2025 at 11:50 AM
# **Ecuador, l’arcipelago delle carceri: stragi, tubercolosi e la responsabilità dello Stato**

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Dal 2021 al 2025 almeno 816 persone sono morte violentemente nelle carceri ecuadoriane, mentre centinaia sono decedute per fame e tubercolosi. Tra stragi, militarizzazione e abbandono […]
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December 23, 2025 at 10:47 AM
# **Bulgaria, una crisi senza uscita (parte prima). Cinque anni di instabilità e il collasso della politica**

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Le dimissioni dell’11 dicembre non sono un incidente ma l’esito di una crisi che dura dal 2020. Proteste, corruzione, inflazione, ingresso nell’euro e scontro istituzionale si […]
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December 22, 2025 at 1:13 PM
# **VIDEO. GERUSALEMME. Israele abbatte palazzo a Silwan, 90 palestinesi senza casa**

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In Cisgiordania il governo Netanyahu ha legalizzato 19 avamposti coloniali a ridosso dei villaggi palestinesi
L'articolo pagineesteri.it/2025/12/22/med…
VIDEO. GERUSALEMME. Israele abbatte palazzo a Silwan, 90 palestinesi senza casa
Twitter WhatsApp Facebook LinkedIn Telegram Email Print **Nella più grande demolizione di case palestinesi effettuata a Gerusalemme Est nel 2025** , questa mattina le forze di polizia israeliane, giunte con le ruspe nel quartiere di Silwan, hanno abbattuto un intero palazzo nel rione di Wadi Qaddum composto da 13 appartamenti, la maggior parte dei quali era ancora occupata. La demolizione è stata eseguita senza preavviso, nonostante fosse previsto un incontro in giornata tra l’avvocato Jumaa Khalila, che rappresenta gli abitanti, e Moran Revivo, consulente legale del Comune di Gerusalemme, per discutere possibili misure per la legalizzazione dell’edificio. **Le autorità israeliane nella parte araba (Est) di Gerusalemme occupata nel 1967 concedono pochi permessi edilizi ai palestinesi** , del tutto insufficienti a coprire il crescente fabbisogno di nuove case dovuto all’aumento demografico. I palestinesi descrivono questa politica una **“deportazione silenziosa”,** poiché costringe tante famiglie a dover lasciare Gerusalemme per cercare alloggi in Cisgiordania. Allo stesso tempo Israele espande continuamente gli insediamenti ebraici che ha costruito nella parte araba della città. “A Gerusalemme Est, i palestinesi sono spinti a costruire in modo ‘illegale’ da un regime di pianificazione che blocca sistematicamente i permessi, e le demolizioni vengono poi utilizzate come strumento per controllare il territorio, sfollare le comunità e negare ai palestinesi il diritto a un alloggio nella propria città”, spiega l’architetto dei diritti umani **Sari Kronish**. Silwan è una delle aree di maggior penetrazione dei coloni israeliani. Nel corso degli anni, i residenti hanno intentato diverse azioni legali nel tentativo di impedire la demolizione; tutte queste azioni si sono rivelate inutili, con conseguente emissione di ordini di demolizione. Il fatto che quest’ultima demolizione sia stata effettuata poche ore prima di una riunione programmata per discutere la legalizzazione dell’edificio mostra chiaramente la mancanza di volontà di raggiungere un compromesso. Gli abitanti dell’edificio abbattuto oggi hanno anche cercato di ottenere la modifica della destinazione d’uso del terreno e legalizzare il loro palazzo. L’ultimo tentativo era iniziato nel 2022 in coordinamento con l’ufficio di pianificazione comunale. Con una decisione evidentemente politica, il comune israeliano ha interrotto ogni procedimento e avviato la demolizione. “Se ci fosse stata buona fede da parte del comune, l’edificio avrebbe potuto essere legalizzato invece di distruggere le case di 13 famiglie”, afferma Aviv Tatarsky, ricercatore dell’associazione Ir Amin. Intanto il governo israeliano ieri ha finalizzato la legalizzazione di 19 avamposti di coloni in Cisgiordania fino a oggi considerati non autorizzati dalla stessa legge israeliana. La decisione di fatto rappresenta l’abrogazione del Piano di disimpegno del 2005, che aveva portato all’evacuazione di tutti gli insediamenti ebraici a Gaza e di quattro piccole colonie nella Cisgiordania settentrionale. Sulla base di questo provvedimento, saranno ricostruite Ganim, Kadim, Homesh e Sa Nur, situate tra Nablus e Jenin, nel cuore del territorio palestinese. L’annuncio è arrivato dal ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, con un incarico anche per le colonie, che ha parlato di un passo necessario per impedire la possibile nascita di uno stato palestinese. È di appena qualche giorno fa il progresso fatto al “Comitato israeliani per la pianificazione edilizia” del piano per la costruzione di 9.000 case per coloni nel luogo dove sorgeva l’aeroporto di Kalandiya, tra Gerusalemme e Ramallah. Un progetto che abbinato a quello di recente approvazione nella zona nota come E1, a est della città santa, taglia a metà la Cisgiordania. L’esecutivo guidato da Benyamin Netanyahu in tre anni ha riconosciuto in totale 69 avamposti, punti di insediamento dai quali i coloni lanciano raid contro villaggi e piccole comunità agricole palestinesi al fine di costringerle ad evacuare. **GUARDA IL VIDEO** https://pagineesteri.it/wp-content/uploads/2025/12/WhatsApp-Video-2025-12-22-at-09.07.14.mp4 Twitter WhatsApp Facebook LinkedIn Telegram Email Print ### _Leggi anche_
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December 22, 2025 at 10:46 AM
# **VIDEO. GERUSALEMME. Israele abbatte palazzo a Silwan, 90 palestinesi senza casa**

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In Cisgiordania il governo Netanyahu ha legalizzato 19 avamposti coloniali a ridosso dei villaggi palestinesi
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VIDEO. GERUSALEMME. Israele abbatte palazzo a Silwan, 90 palestinesi senza casa
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December 22, 2025 at 10:21 AM
# **LIBRI. Cronache da un paese interrotto. Diario di un prof in Palestina**

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Il paese interrotto descritto nei racconti dell'autore Roberto Cirelli è la Palestina: economia, cultura e vita sociale sono messe in pericolo quotidianamente dall’occupazione israeliana
L'articolo LIBRI […]
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December 22, 2025 at 8:42 AM
# **SIRIA. Trump revoca le sanzioni del Caesar Act poi bombarda il paese**

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L'aviazione Usa ha colpito decine di presunti obiettivi dell'Isis nell'Est in apparente risposta all'uccisione di due soldati e un contractor americani. Il governo post jihadista di Damasco approva
L'articolo […]
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December 20, 2025 at 6:11 PM
# **Pakistan e Cirenaica stringono un accordo di cooperazione militare**

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Dopo il patto di mutua difesa con l'Arabia Saudita, il Pakistan ha sottoscritto un accordo di cooperazione militare con la regione della Libia orientale controllata da Khalifa Haftar
L'articolo Pakistan e Cirenaica […]
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December 20, 2025 at 10:54 AM
# **ANALISI. Nello Yemen si ridisegna la mappa dell’Arabia meridionale**

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Dieci anni dopo, gli Houthi restano trincerati nel nord, mentre il sud è diventato una scacchiera per le ambizioni divergenti della coalizione saudita-emiratina
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ANALISI. Nello Yemen si ridisegna la mappa dell’Arabia meridionale
Twitter WhatsApp Facebook LinkedIn Telegram Email Print **di Elfadil Ibrahim** – The Arab Weekly Mentre le capitali mondiali osservano con ansia le rovine fumanti di Gaza, un importante cambiamento sta sconvolgendo l’equilibrio di potere nell’Arabia meridionale. All’inizio di dicembre, in un’offensiva lampo soprannominata “Il futuro promettente”, le forze fedeli al Consiglio di transizione meridionale (STC) hanno invaso Seiyun, la capitale amministrativa della vasta regione di Hadramout in Yemen. Il gruppo ha giustificato l’azione come una campagna per reprimere le rotte del contrabbando di armi verso gli Houthi, combattere i gruppi estremisti (tra cui lo Stato Islamico e al-Qaeda nella penisola arabica) e ripristinare la stabilità nella regione. Grazie al sostegno della potenza di fuoco degli Emirati, i secessionisti non solo hanno rafforzato la loro presa sul sud fino al confine con l’Oman, ma hanno anche messo in sicurezza il polmone economico del Paese, che ospita l’80 percento delle sue riserve petrolifere. Nella polvere dell’avanzata, i soldati issarono la bandiera della Repubblica Popolare Democratica dello Yemen (PDRY), lo stato socialista che si sciolse e si fuse con lo Yemen settentrionale nel 1990. Così facendo, non solo dichiararono morta l’unione, ma portarono anche alla luce le tensioni latenti tra Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. Per comprendere la disgregazione dello Yemen meridionale, bisogna guardare oltre le schermaglie locali e concentrarsi sulle capitali del Golfo. Quando la coalizione guidata dall’Arabia Saudita intervenne nel 2015, l’obiettivo era ripristinare il governo centrale e cacciare gli Houthi dalla capitale dello Yemen, Sana’a. Dieci anni dopo, gli Houthi rimangono trincerati nel nord, mentre il sud è diventato una scacchiera per le ambizioni divergenti della coalizione. L’Arabia Saudita, che condivide un confine lungo e poroso con lo Yemen, brama stabilità. Considera Hadramout il suo cortile di casa, una zona cuscinetto contro il caos e un potenziale corridoio per un oleodotto verso il Mar Arabico, aggirando la morsa dello Stretto di Hormuz. A tal fine, Riad sostiene il Consiglio Presidenziale di Leadership (PLC), l’organismo composto da otto membri creato nel 2022 per governare le aree frammentate dello Yemen non controllate dagli Houthi. Il consiglio è stato concepito per riunire sotto un unico tetto signori della guerra e pesi massimi della politica, rafforzando il ruolo del governo nei negoziati con gli Houthi e riportando il Paese verso la stabilità. Gli Emirati Arabi Uniti, al contrario, vedono lo Yemen da una prospettiva completamente diversa. Hanno scarso interesse per il caotico e popoloso nord; Abu Dhabi, invece, cerca di controllare la costa meridionale per assicurarsi le rotte di navigazione e proiettare il suo potere nell’Arabia meridionale e nel Corno d’Africa, un’ambizione dimostrata dall’occupazione di fatto e dalla militarizzazione dell’arcipelago di Socotra. Per perseguire i suoi obiettivi, ha rafforzato l’STC, una forza laica e secessionista che deve la sua esistenza alla generosità degli Emirati e si allinea all’implacabile ostilità di Abu Dhabi verso l’Islam politico. I recenti eventi a Seiyun hanno rappresentato il culmine di questa strategia. Per anni, la “Prima Regione Militare”, una forza fedele al vecchio stato unificato e allineata agli interessi sauditi, ha controllato l’interno dell’Hadramout, mentre il CST, sostenuto dalle “Forze d’élite” finanziate dagli Emirati, controllava la costa. Ora, il CST si è spinto verso l’interno, espellendo i resti dell’esercito nazionale e conquistando i giacimenti petroliferi, conferendo alla forza separatista una leva economica e la contiguità territoriale. Mentre i funzionari degli Emirati Arabi Uniti sostengono formalmente che la loro posizione è “in linea con quella dell’Arabia Saudita nel sostenere un processo politico”, la reazione di importanti voci emiratine è stata trionfante. Abdulkhaleq Abdulla, un politologo che spesso riflette il pensiero di Abu Dhabi, ha scritto che “il Sud arabo sta vivendo un momento storico”, esortando il Golfo a riconoscere lo “Stato dell’Arabia Meridionale” come un fatto compiuto. Ciò lascia il governo yemenita riconosciuto a livello internazionale, incarnato dal Consiglio di Sicurezza Nazionale (PLC), in uno stato di farsa. L’organismo è una caotica alleanza di fazioni rivali (secessionisti, tribalisti del nord, islamisti, salafiti) unite solo dall’odio per gli Houthi. Il capo del PLC e presidente yemenita riconosciuto a livello internazionale, Rashad al-Alimi, si trovava ad Aden quando è iniziata l’offensiva, ma mentre i suoi partner del Consiglio di Sicurezza Nazionale (STC) assaltavano le strutture governative, al-Alimi ha fatto le valigie ed è volato a Riyadh. Da lì, ha rilasciato una dichiarazione in cui respingeva le “azioni unilaterali”, un eufemismo diplomatico per un colpo di Stato all’interno del suo stesso campo. Nello Yemen settentrionale, gli Houthi osservano con un misto di giubilo e calcolo. Per anni hanno giustificato la loro espansione e il loro dominio sostenendo di difendere lo Yemen dalle aggressioni straniere. La vista di forze sostenute da Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti che si contendono i pozzi petroliferi nell’est è un regalo di propaganda, che rafforza la loro narrativa secondo cui il PLC è un burattino incapace di governare. Mohammed Al-Farah, membro dell’ufficio politico degli Houthi, ha sfruttato le lotte intestine per liquidare le fazioni rivali come semplici “strumenti affiliati agli Emirati Arabi Uniti e all’Arabia Saudita” che “non rappresentano un progetto nazionale”. Sul piano interno, gli Houthi stanno affrontando una grave crisi finanziaria, le entrate portuali sono evaporate sotto la duplice pressione degli attacchi aerei israeliani e delle conseguenze del loro stesso assalto alle navi mercantili del Mar Rosso. Eppure, il fratricidio tra i loro nemici nominali offre un’ancora di salvezza. I ribelli bramano da tempo le ricchezze di idrocarburi di Marib e Hadramout, risorse che avrebbero dovuto essere condivise nell’ambito di una roadmap delle Nazioni Unite, ma che il Consiglio di Sicurezza Nazionale ha ora di fatto incenerito. Se la coalizione anti-Houthi dovesse ulteriormente frammentarsi, i ribelli potrebbero decidere che è giunto il momento di spingersi verso est. Per le Nazioni Unite e la comunità internazionale, che ha trascorso un decennio cercando di rimettere insieme lo Yemen, questi sviluppi sono catastrofici e vanificano un decennio di diplomazia. La roadmap di pace delle Nazioni Unite si basa su negoziati binari tra gli Houthi a Sana’a e un governo unificato ad Aden. Alla luce dell’offensiva del Consiglio di Sicurezza Nazionale (STC), i mediatori si chiedono senza dubbio come negoziare un cessate il fuoco a livello nazionale quando la parte governativa sta attivamente dividendo la nazione che afferma di rappresentare. Quindi, l’unità dello Yemen è definitivamente perduta? La mappa e l’umore sul campo suggeriscono che non ci sia ritorno. Una squadra militare congiunta saudita-emiratina è atterrata frettolosamente ad Aden, apparentemente incaricata di respingere le recenti avanzate del Consiglio di Sicurezza Nazionale (STC) e di mettere insieme una de-escalation che salvasse la faccia. Invece, il Consiglio di Sicurezza Nazionale ha raddoppiato gli sforzi, lanciando una nuova offensiva militare nella provincia di Abyan per schiacciare le rimanenti sacche di resistenza. Contemporaneamente, il suo braccio mediatico, l’AIC, sta trasmettendo scene di giubilo da Aden, proiettando una narrazione di liberazione irreversibile. La retorica dall’alto è altrettanto esplicita. Aidarous al-Zubaidi, il leader dell’STC, ha informato i vertici del gruppo sulla costruzione di istituzioni nel “futuro Stato dell’Arabia Meridionale”. Sul campo, nel Wadi appena conquistato, il generale di brigata Saleh bin al-Sheikh Abu Bakr (noto come Abu Ali al-Hadrami), comandante delle forze di “Supporto alla Sicurezza” dell’STC, è stato ancora più dettagliato, proponendo una visione del futuro pensata per placare i timori locali di un’eventuale dominazione da parte di Aden. Rivolgendosi agli anziani delle tribù, ha promesso una rottura con il passato centralizzato: “All’interno dell’Arabia Meridionale, sarà federale. Ogni governatorato si autogestisce… le forze di polizia saranno locali in ogni governatorato”. Sebbene la visita saudita-emiratina ad Aden non abbia portato al ritiro dell’STC, ciò che è davvero interessante dell’episodio è che sauditi ed emiratini mantengono una parvenza di cooperazione nonostante una chiara frattura sul terreno. La partecipazione degli Emirati Arabi Uniti alla delegazione congiunta è indubbiamente calibrata, consentendo ad Abu Dhabi di proteggere i guadagni territoriali dell’STC evitando al contempo una rottura diplomatica pubblica e totale con Riad. Gli Emirati sono senza dubbio desiderosi di preservare l’unità visiva della coalizione contro gli Houthi e i loro protettori iraniani, anche se stanno attivamente smantellando lo Stato che la coalizione avrebbe dovuto restaurare. Nel frattempo, il regno è stato messo alle strette dalla pazienza strategica degli Emirati Arabi Uniti e dalla fragilità dei suoi stessi alleati. I suoi principali partner sul territorio, la Prima Regione Militare, un residuo del vecchio esercito nazionale, e le Forze Scudo Nazionale, un’unità salafita creata da Riyadh appositamente per contrastare l’STC, sono crollati durante l’offensiva, cedendo territorio e basi con una resistenza minima. Le notizie secondo cui le truppe saudite si sarebbero ritirate da posizioni simboliche chiave, tra cui il palazzo presidenziale di Aden, sottolineano quanto l’influenza del regno sia svanita. Con la tabella di marcia delle Nazioni Unite per la pace in fase di supporto vitale e nessuna intenzione da parte di Riyadh di riavviare una costosa guerra di terra contro i delegati del vicino, il regno sarà probabilmente costretto a ingoiare una pillola amara, accettando un sud dominato dagli Emirati Arabi Uniti come un fatto compiuto. Ciò non porta all’unità, ma all’effettiva ripartizione del Paese. Il risultato è quello che un analista ha definito “due Yemen e mezzo”: un nord controllato dagli Houthi, un sud controllato dall’STC e un governo residuo impotente, ridotto a controllare solo Marib e Taiz, territori assediati dagli Houthi a nord e dall’STC e dalle forze del generale di brigata Tariq Saleh a sud e a est. La questione non è più se Riad riuscirà a rimettere insieme lo Yemen, ma quale nuovo equilibrio riuscirà a negoziare per sé stessa in un Paese che non controlla più. Twitter WhatsApp Facebook LinkedIn Telegram Email Print ### _Leggi anche_
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December 20, 2025 at 9:43 AM
Reposted by Andrea Russo
# **Ecco il nuovo logo di Citiverse.it: il forum dei luoghi e città integrato con il Fediverso**

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Siamo quasi giunti alla fine del 2025 che per noi è stato un anno molto importante.

Mentre si consolidano le nostre tre istanze federate ** […]

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December 19, 2025 at 4:22 PM
# **“Vittoria!”. Nei Paesi Baschi la mobilitazione batte la speculazione**

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Dopo tre anni di massicce proteste i comitati e gli abitanti sono riusciti a bloccare la realizzazione di un progetto speculativo del museo Guggenheim all'interno dell'unica riserva naturale dei Paesi Baschi […]
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December 19, 2025 at 9:53 AM
# **Decine di Ong internazionali perderanno l’accesso a Gaza e in Cisgiordania**

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A causa delle nuove regole di registrazione decise da Israele decine di gruppi umanitari internazionali rischiano la cancellazione entro il 31 dicembre, e dovranno chiudere le operazioni entro 60 giorni […]
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December 19, 2025 at 7:14 AM
# **FOCUS. Gaza, cessate il fuoco sempre più fragile. La ricostruzione resta una ipotesi**

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Le prospettive di accordo a lungo termine appaiono più remote che mai. I palestinesi ritengono che Israele non completerà mai il ritiro, impedirà una vera ricostruzione per mantenere la Striscia in […]
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December 18, 2025 at 12:50 PM
# **SUDAN: nuovi massacri, la guerra civile si estende al Kordofan**

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In Sudan le milizie stanno cancellando le prove della pulizia etnica compiuta a El Fasher e bombardano ospedali e caschi blu puntando all’oro e al petrolio
L'articolo SUDAN: nuovi pagineesteri.it/2025/12/18/afr…
SUDAN: nuovi massacri, la guerra civile si estende al Kordofan
Twitter WhatsApp Facebook LinkedIn Telegram Email Print Pagine Esteri – Sono almeno 104 i civili uccisi nei giorni scorsi dai droni dei ribelli delle Forze di Supporto Rapido nella regione del **Kordofan**, in Sudan, mentre gli scontri tra fazioni rivali si stanno facendo sempre più violenti. L’ennesima escalation della guerra civile che insanguina il paese dall’aprile del 2023 ha causato lo sfollamento di decine di migliaia di persone e ha travolto le strutture sanitarie già messe a dura prova dalle epidemie di colera e dengue. I combattimenti principali si stanno spostando dal Darfur, nell’ovest, alla vasta regione centrale del Kordofan (ricca di oro e di petrolio) in seguito alla conquista da parte dei ribelli di un’importante base militare a Babnusa. L’attacco più mortale è stato segnalato in un asilo e in un ospedale a **Kalogi**, nel Kordofan meridionale, dove sono state uccise 89 persone, tra cui 43 bambini e otto donne. Gli attacchi delle Forze di Supporto Rapido hanno preso di mira anche il contingente dell’UNISFA (_United Nations Interim Security Force for Abyei_), uccidendo sei peacekeeper del Bangladesh colpiti all’interno della loro base a Kadugli, la capitale del Kordofan meridionale, il 13 dicembre. ** ** Pochi giorni prima dell’attacco le RSF hanno preso il controllo del più grande giacimento petrolifero del Paese, situato a **He****g****lig** , al confine tra il Kordofan meridionale e il Sud Sudan. Il mandato di UNISFA è appena stato rinnovato dal Consiglio di sicurezza dell’ONU per un altro anno. I 4 mila caschi blu schierati nel 2011 si trovano in particolare nell’area di Abye, un territorio di 10 mila chilometri quadrati che si distende nel cuore del bacino petrolifero del Nilo e che continua ad essere conteso tra Sudan e Sud Sudan sin dal momento della separazione del Sud Sudan dal Sudan. Nel corso dei combattimenti per il controllo del giacimento un attacco da parte dell’esercito sudanese ha causato la morte anche di sette membri delle Forze di Difesa Popolare, cioè le forze armate sudsudanesi. Il Segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha condannato quelli che ha definito “terribili attacchi con droni”, sottolineando che «possono costituire crimini di guerra secondo il diritto internazionale». Il giorno dopo ad essere bombardato è stato l’ospedale militare di Dilling; il “Sudan Doctors Network” ha segnalato nove morti e 17 feriti, definendo l’accaduto “un attacco sistematico alle istituzioni sanitarie”. I combattimenti nel Kordofan rappresentano una significativa espansione del conflitto in seguito alla presa di el-Fasher, ultima roccaforte dell’esercito in Darfur, da parte delle RSF, avvenuta il 26 ottobre. I ricercatori dell’Humanitarian Research Lab (HRL) della Yale School of Public Health hanno rivelato in un nuovo rapporto che le milizie hanno ucciso anche un gran numero di civili che tentavano di fuggire dalla città, per poi dedicarsi sistematicamente a distruggere le prove seppellendo e bruciando i corpi delle vittime. Basandosi sulle immagini satellitari, il rapporto afferma che le RSF «hanno intrapreso una campagna sistematica di diverse settimane per distruggere le prove delle loro uccisioni di massa». In seguito alle reazioni internazionali, il leader delle milizie, il generale Mohamed Hamdan Dagalo, ha annunciato l’apertura di un’indagine su quelle che ha definito “violazioni commesse da alcuni dei suoi soldati” durante la cattura di El Fasher. Tuttavia la milizia ha continuato a negare le accuse secondo cui gli omicidi in città sarebbero motivati ​​da ragioni etniche, compiuti dai combattenti arabi (o arabizzati) che prendono di mira le popolazioni non arabe. Secondo l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani (Ohchr), inoltre, ad aprile le milizie di Dagalo avrebbero ucciso un migliaio di civili in un attacco contro il campo profughi di Zamzam, nel Darfur settentrionale. Tra le persone uccise, 319 sono state giustiziate sommariamente, all’interno del campo o mentre cercavano di fuggire, denuncia il rapporto, secondo il quale alcune delle vittime sono state uccise dalle RSF nelle loro case durante le perquisizioni, altre sono state assassinate nel mercato principale o all’interno di scuole, strutture sanitarie e moschee. Il rapporto denuncia che almeno 104 sopravvissuti, tra cui 75 donne, 26 ragazze e tre ragazzi – la maggior parte dei quali appartenenti al gruppo etnico Zaghawa – sono stati sottoposti a orribili violenze sessuali. Mentre gli scontri e le stragi si intensificano, il 15 dicembre il capo del regime militare sudanese Abdel Fattah al-Burhan ha incontrato il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman esprimendo la propria disponibilità a collaborare con il presidente degli Stati Uniti per fermare la guerra civile. Il giorno seguente, in una dichiarazione congiunta, Egitto e Stati Uniti hanno respinto “qualsiasi tentativo di dividere il Sudan” e hanno chiesto un cessate il fuoco globale. **Al-Burhan** sta tentando di convincere la comunità internazionale a isolare gli **Emirati Arabi Uniti** per indebolire il sostegno della petromonarchia alle milizie di Dagalo. Un sostegno che, nonostante le smentite di Abu Dhabi, emerge con sempre maggiore evidenza da numerosi rapporti delle Nazioni Unite, di varie organizzazioni internazionali e non governative e di istituti di ricerca. Questi documenti hanno evidenziato l’esistenza di una rete ben collaudata, costruita attraverso le alleanze regionali, a partire dai ribelli del Ciad e dall’Esercito nazionale libico (Enl) del generale Khalifa Haftar, articolata attorno agli snodi logistici di Bosaso, nella regione somala del Puntland, e di Berbera, nell’autoproclamata Repubblica nel Somaliland, e alimentata dai profitti derivanti dallo sfruttamento delle miniere d’oro del Darfur e ora anche del Kordofan. – Pagine Esteri Twitter WhatsApp Facebook LinkedIn Telegram Email Print ### _Leggi anche_
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December 18, 2025 at 10:36 AM
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I paesi che boicottano l’Eurovision affermano che sarebbe una forma di complicità con Israele prendere parte alla manifestazione canora, dato il numero di civili uccisi a Gaza
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December 17, 2025 at 7:54 AM
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Da Città del Messico al confine con il Guatemala passando per una decina di Stati della repubblica messicana: questo è Mexico 2025 di Andrea Cegna
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DOCUMENTARIO. Mexico 2025
Twitter WhatsApp Facebook LinkedIn Telegram Email Print México 2025 é un viaggio lungo diversi mesi per il centro sud del Messico, ma con gli occhi tesi a tutto il Paese. Voci ed immagini raccolte da Andrea Cegna si mescolano dando una narrativa diversa da quella consolidata sul vicino di casa degli USA. Il lavoro è totalmente auto prodotto ed è stato finanziato con un crowdfunding. mozallowfullscreen webkitallowfullscreen allowfullscreen Twitter WhatsApp Facebook LinkedIn Telegram Email Print ### _Leggi anche_
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December 16, 2025 at 1:50 PM
# **REPORTAGE VIDEO. L’occupazione israeliana in Siria, tra bombardamenti e rapimenti**

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Nel villaggio di Beit Jinn, a novembre Tel Aviv ha ucciso tredici persone, tra cui un'intera famiglia di cinque siriani. In un precedente raid, i militari hanno rapito sette persone. Le famiglie non […]
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